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Quando “il nomade” ha un volto, una voce, un nome. Monsignor Antonio Cecconi e una volontaria dell’associazione “Colle Libera Tutti” sullo sgombero del campo del Nugolaio

Pisa, lunedi 17 dicembre 2018 - Quella che segue è la riflessione, a cui consegue una chiara presa di posizione, di una volontaria della mia parrocchia, che con l’associazione “Colle Libera Tutti” lavora per tessere legami di amicizia e sostegno con minori italiani e di varie etnie, e anche supportare e integrare la relazione educativa delle loro famiglie. Alcuni di questi minori vengono dal Campo nomadi del Comune di Cascina, di cui quell’Amministrazione comunale ha decretato la chiusura, incurante di quale sarà il futuro soprattutto dei minori ivi residenti. Situazione analoga succede in molte parti d’Italia, a danno soprattutto di minori, come conseguenza del cosiddetto “decreto sicurezza” del Governo. Come cittadino dello stato italiano e come prete della Chiesa cattolica denuncio la duplice violazione della Costituzione della repubblica – in particolare dell’art. 10 – e del Vangelo di Gesù Cristo: “Ero straniero e mi avete accolto”. In questo tempo in cui si invita a fare il presepe – memoria del Bambino messo in una mangiatoia in mancanza di un posto più accogliente – le parole che seguono sono insieme denuncia e provocazione a quell’accoglienza senza la quale non possiamo chiamarci né umani né cristiani.

Monsignor  Antonio Cecconi, pievano di Calci

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 In un nuovo tempo in cui gli uomini, quelli che hanno tratti e colori un po’ diversi dai tuoi, sono identificati e trattati solo per categorie – profughi, immigrati, nomadi, stranieri – conoscere Kristian, Wisal, Josdave, Vanessa, Serena, Fatima, Munira, Iman… ti fa venire una morsa al cuore.

Loro hanno un nome, un volto, una voce che scorrono come cortometraggi nei nostri occhi e risuonano nelle nostre orecchie come note conosciute: li vediamo e li chiamiamo, mangiamo, giochiamo e viaggiamo insieme, tentiamo di augurarci Buon Natale nella loro lingua.

E quando hai vissuto con loro passi della tua storia, le loro vite ti entrano dentro, sono un po’ la tua vita: fette sempre più grandi di un popolo disumanizzato li chiama solo (quando non aggiunge attributi  sprezzanti) albanesi, filippini, marocchini, rom… noi non possiamo.

Come possiamo rimanere indifferenti alla sorte ignota di 5 fratelli a cui è stato detto semplicemente: “Dovete sgomberare, qui al Nugolaio non potete stare più!? Se siete piccoli, non è un nostro problema”.

Loro non ci sono ignoti, sconosciuti, estranei-stranieri; con loro esiste una relazione, un legame che ci fa mettere nei loro panni: e se fossi io al posto loro? Se ci fosse mio figlio? Un montenegrino soffre forse meno di me?

Le categorie si eliminano facilmente; gli uomini, le donne, i bambini con un nome no.

Conoscere e convivere ti fa ri-scoprire l’uguaglianza dell’umanità nelle differenze delle origini geografiche.

Il nostro popolo invece sta scegliendo sempre più di non conoscere, di avere sguardi corti alla punta del proprio naso, di tenere la propria vita separata da quella degli altri: ci inebria essere virtualmente nel mondo ognuno a casa propria, ma ci terrorizza la vicinanza della carne.

E i cristiani stanno dimenticando che il Dio di cui frequentemente si riempiono la bocca per legittimare pensieri e azioni contro, ha scelto come segno distintivo proprio l’incarnazione, la prossimità senza calcolo kilometrico, la sua vita per TUTTI. E se i nostri pensieri e le nostre azioni non si conformano a quel segno distintivo, siamo lontani da Lui uomo e Dio.

Nella Bibbia leggiamo: “…verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio”: E noi chi siamo per arrogarsi il potere di escluderli dalle nostre “mense”?

E anche in questo Natale non c’è posto per loro nei nostri “alberghi”… ma ci verrà chiesto conto di quei bambini sgomberati dal campo. Troveremo una risposta che Lo potrà convincere?

Ilaria Femori