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74 anni fa la decapitazione di Franz Jagerstatter. In nome della fede cristiana, si oppose al nazismo e rifiutò di combattere agli ordini di Hitler

Pisa, 9  agosto 2017  – Il 9 agosto 1943, in un carcere vicino Berlino, mentre su gran parte dell’Europa gravava la notte oscura del domino nazista e della guerra mondiale, veniva decapitato un contadino austriaco di 36 anni, cattolico e padre di tre figli. La sua colpa: essere un oppositore del nazismo ed essersi rifiutato strenuamente, in nome della sua fede cristiana, di combattere agli ordini di Adolf Hitler. Quest’uomo si chiamava Franz Jägerstätter, e scelse di testimoniare con la sua vita la sua fedeltà al Vangelo ed il suo rifiuto di seguire l’ideologia e la prassi nazista.

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Franz Jägerstätter, vissuto in un piccolo villaggio a pochi chilometri dalla Baviera e dai luoghi in cui Joseph Ratzinger ha passato alcuni anni della sua infanzia, è stato proclamato beato da Benedetto XVI. La vicenda di Franz Jägerstätter è per molti versi impressionante. Nel pieno della guerra e del clima di isterica propaganda bellica creato dalle autorità naziste, questo giovane padre di tre figlie, nato e cresciuto a soli trenta chilometri dal villaggio natale di Hitler, ebbe molto chiara nella sua coscienza l’impossibilità per un cristiano di essere soldato in un esercito comandato da un potere iniquo e anticristiano.

Tale chiarezza era per lui semplicemente un dono, una grazia, da accogliere con umiltà e riconoscenza. Affermava infatti: «Se Dio non mi avesse dato la grazia e la forza di morire se necessario per difendere la mia fede, forse farei semplicemente ciò che fa la maggior parte della gente». Si chiedeva poi con grande chiarezza: «Si può essere allo stesso tempo soldato di Cristo e soldato per il nazionalsocialismo, si può combattere per la vittoria di Cristo e della sua Chiesa e contemporaneamente combattere perché vinca il nazionalsocialismo?».
Le sue lettere scritte in carcere, dopo la sentenza di morte, sono di una serenità che non può che stupire, considerate le condizioni nelle quali affrontava tale prova e le preoccupazioni evidenti che doveva serbare per la sua famiglia. Con estrema lucidità Jägerstätter considerava il dilemma morale nel quale si trovava, e di fronte al quale non era disposto a compromessi di alcun genere: «Per quale motivo preghiamo Dio e i sette doni dello Spirito Santo, se dobbiamo comunque prestare in ogni caso cieca obbedienza? A che pro Dio ha fornito agli uomini un intelletto ed una libera volontà se non ci e neppure concesso, come alcuni dicono, di giudicare se questa guerra che la Germania sta conducendo sia giusta o ingiusta?». Tali considerazioni sono contenute in una lettera scritta da Franz Jägerstätter alla fine di luglio 1943, mentre si trovava con le mani legate perché ormai vicino all’esecuzione della condanna.

L’originale di questo prezioso documento è stato solennemente consegnato il 4 novembre 2005 dal Cardinale Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale austriaca, a don Angelo Romano, Rettore della Basilica di san Bartolomeo, per essere esposto nella cappella dedicata ai testimoni della fede vissuti sotto il regime nazista. Qui, alla vigilia della morte, il giovane austriaco scriveva: “Io credo che si possa anche prestare cieca obbedienza, ma solo se così facendo non si danneggia nessuno. Scriverò solo qualche parola, così come essa mi esce dal cuore. Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà. Talvolta Dio ci mostra apertamente la sua forza, che Egli dona agli uomini che lo amano e non preferiscono la terra al cielo. Né il carcere, né le catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la sua libera volontà. La potenza di Dio è invincibile. Siate ubbidienti e sottomettetevi alle autorità: queste parole vi arrivano oggi da ogni parte, anche da persone che non credono quasi per nulla in Dio e alle Sacre scritture. Se ci si dedicasse con la stessa assiduità con cui si è tentato di salvarmi dalla morte terrena a mettere in guardia ciascun uomo contro il peccato mortale, e perciò contro la morte eterna, ci sarebbe davvero già il paradiso in terra. C’è sempre chi tenta di opprimerti la coscienza ricordandoti la sposa e i figli. Forse le azioni che si compiono diventano giuste solo perché si è sposati e si hanno figli? O forse l’azione è migliore o peggiore solo perché la compiono anche altre migliaia di cattolici? Forse anche fumare è diventato una virtù perché lo fanno migliaia di cattolici? Si può allora anche mentire perché abbiamo moglie e figli e per di più giustificarsi attraverso un giuramento? Cristo stesso non ha forse detto: “Chi ama la moglie, la madre e i figli più di me non è degno di me”? Per quale motivo preghiamo Dio e i sette doni dello Spirito santo, se dobbiamo comunque prestare in ogni caso cieca obbedienza? A che pro Dio ha fornito agli uomini un intelletto e una libera volontà se non ci è neppure concesso, come alcuni dicono, di giudicare se questa guerra che la Germania sta conducendo sia giusta o ingiusta? A cosa serve allora saper distinguere tra bene e male? Se al giorno d’oggi gli uomini fossero un po’ più sinceri ci dovrebbe essere, credo, anche qualche cattolico che dice: “Sì, mi rendo conto che quello che stiamo compiendo non è bene, tuttavia non mi sento ancora pronto a morire. Forse molti pensano di essere tenuti a testimoniare e a morire per la loro fede solo quando si pretenderà da loro di abbandonare la Chiesa. Io mi azzardo a dire molto apertamente che chi è pronto a soffrire e a morire, piuttosto che offendere Dio con il più piccolo peccato veniale, è anche disposto a morire per la propria fede. Questi avrà maggior merito di chi viene condannato pur di non abiurare pubblicamente la Chiesa, perché in questo caso si ha semplicemente il dovere, se non si vuol commettere peccato grave, di morire piuttosto che obbedire. Un santo disse: “Anche se una sola menzogna detta per adeguarsi alle circostanze permettesse di spegnere tutto il fuoco dell’inferno, non bisognerebbe dirla perché mentendo, anche per necessità, si offende Dio”.

Qualcuno potrà pensare che simili considerazioni nel XX secolo possono sembrare ridicole. Sì, è vero, noi uomini siamo cambiati in molte cose, ma Dio non ha tolto uno iota dai suoi comandamenti. Perché poi si vuole sempre cercare di rimandare la morte, come se non si sapesse che prima o poi dovrà arrivare? Forse i nostri santi si sono comportati così? Non credo proprio. O forse dubitiamo della misericordia di Dio, come se potesse davvero aspettarci l’inferno dopo la nostra morte. In realtà me lo sarei meritato, con i miei numerosi e gravi peccati, ma Cristo non è venuto nel mondo per i giusti, bensì per cercare ciò che era smarrito. E affinché nessun peccatore debba avere dubbi, ce ne ha dato un esempio proprio in punto di morte, salvando il buon ladrone. Non avremmo mai alcuna serenità su questa terra se sapessimo che Dio, il Signore, non ci perdona e perciò dopo la morte dovremo vagare per sempre nell’inferno. Se pensieri del genere non portano alla disperazione l’uomo, ciò significa che egli non crede più in una vita oltre la morte, o che si immagina l’inferno come un locale di divertimenti, dove c’è sempre allegria. Se un nostro buon amico ci proponesse un lungo viaggio di piacere, naturalmente gratis e con trattamento di prima classe, cercheremmo di rimandarlo continuamente o addirittura lo terremmo in serbo per la vecchiaia? Non credo proprio. E cos’è dunque la morte: non si tratta anche in questo caso di un lungo viaggio che dovremo fare, anche se da questo non ritorneremo? Ma può esservi un momento più gioioso di quello nel quale ci accorgeremo di essere felicemente approdati sulle rive del paradiso? Naturalmente non dobbiamo dimenticare che prima ci dovremo purificare nel purgatorio, ma esso non dura in eterno e chi in vita si è sforzato di aiutare con le proprie preghiere le povere anime dei morti ed è stato devoto alla Madre di Cristo può essere sicuro di non doverci stare a lungo. Si potrebbe quasi svenire nel pensare alle gioie eterne del cielo! Come ci rende subito felici una piccola gioia che proviamo in questo mondo! Eppure che cosa sono le brevi gioie terrene rispetto a quelle che Gesù ci ha promesso nel suo regno? Nessun occhio ha mai visto, nessun orecchio ha mai udito e nessun cuore d’uomo ha mai conosciuto ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano. Quando Sant’Agostino volle scrivere un libro sulle gioie celesti, san Gerolamo che, come si seppe più tardi, era morto in quello stesso giorno, gli apparve in sogno e disse: “Come non puoi contenere il mondo intero in una mano, così non potresti raccogliere le gioie del cielo in un libro prima di trovarti tu stesso in quel luogo nel quale ti sforzi di giungere”. Se dunque le gioie del Cielo sono così grandi, non dobbiamo disprezzare tutti i piaceri di questa terra?”