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Buoni alimentari del Governo: il report sui comuni della diocesi di Pisa

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11042020 Report Buoni Alimentari (439.1 KiB)

Pisa, sabato 11 aprile 2020 – (a cura di OPR Pisa) La corsa è iniziata il 29 marzo, subito dopo l’approvazione del Dpcm sul soccorso alimentare che ha stanziato 400 milioni di euro da destinare “a misure urgenti di solidarietà alimentare per consentire alle persone in stato di bisogno di soddisfare i bisogni più urgenti ed essenziali”. Quel provvedimento di ormai quasi due settimane fa è stata la prima concreta presa d’atto, a livello centrale, che le povertà non solo si stavano aggravando ma stavano già cominciando ad ampliarsi ad una platea di cittadini che erano riusciti a vivere dignitosamente, fino a prima del lockdown che ha quasi spento il Paese con l’obiettivo di contenere il contagio da Covid 19. Una consapevolezza maturata anche in conseguenza dei forti richiami arrivati dai territori, dai sindaci e dagli amministratori locali, ma anche da tante parte del terzo settore e del volontariato, d’ispirazione cristiana e non, che ha proseguito l’impegno accanto ai più deboli, nel rispetto delle misure di distanziamento sociale.

Era necessario utilizzare il più velocemente possibile la somma messa a disposizione per limitare l’ampliarsi della voragine che sta inghiottendo tante persone. Così ogni amministrazione comunale si è organizzata autonomamente, nel rispetto delle indicazioni dello stesso Dpcm che ha delegato a “l’ufficio dei servizi sociali di ciascun Comune” il compito di individuare “la platea dei beneficiari e il relativo contributo tra i nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza epidemiologica da virus Covid-19 e tra quelli in stato di bisogno, per soddisfare le necessità più urgenti ed essenziali”. Fissando un solo criterio di discernimento: dare la priorità ai nuclei “non già assegnatari di sostegno pubblico”, una scelta, per inciso, che, almeno in quei comuni che hanno applicato l’indicazione alla lettera, ha escluso dalla platea dei potenziali beneficiari anche una quota importante di quelle famiglie indigenti che percepiscono un misura di sostegno (che sia pensione sociale, reddito di cittadinanza o altro) sovente di piccole dimensioni e che consentiva alle famiglie di sopravvivere solo integrandola con lavoretti spesso nella c.d. “economia informale o sommersa”. Fortunatamente nella maggioranza dei comuni, gli amministratori, a contatto quotidiano con i problemi della popolazione, hanno applicato quell’indicazione con buon senso consentendo comunque l’accesso alla misura ai nuclei che percepiscono sovvenzioni publiche di modesta entità.

In ogni caso la corsa iniziata il 29 marzo ha dato il via a un pluralità di modelli territoriali di accesso alla misura che rischia di sfiorare la frammentazione. E’ vero che, almeno stando ai primi dati parziali, molte famiglie hanno avuto accesso ai buoni alimentari. La domanda che riteniamo più opportuna, in questa fase, però, non è tanto sapere quanti e chi sono coloro che hanno ottenuto i buoni alimentari, quanto chiedersi se ci sono persone in condizione di reale bisogno che sono rimasti esclusi per mancanza d’informazioni o semplicemente perché non rientravano nei criteri previsti dall’amministrazione comunale … a meno di non autocertificare il falso, con i conseguenti rischi sul piano penale.

Per questo l’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Caritas Diocesana di Pisa ha promosso un’indagine riferita ai 23 comuni che compongono il territorio della diocesi. Volutamente non sono esplicitati i nomi dei singoli comuni: lungi da noi, infatti, l’idea di voler realizzare una sorta di pagella delle amministrazioni più e meno brave. In quest’emergenza lo sforzo e la presenza di tanti amministratori locali è stato encomiabile. La questione, però, è che appunto siamo in emergenza: è necessario correre e in questi casi il rischio sempre presente è quello di lasciare indietro qualcuno. Fermarsi a riflettere sugli interventi messi in campo per evitare di perpetuare gli stessi errori anche nelle misure successive e disperdere le tante buone pratiche messe in campo, in questi giorni, dalle amministrazioni locali è il proposito di questo contributo.

Dal punto di vista metodologico è utile precisare che l’analisi che segue è basata sulle informazioni che le amministrazioni comunali hanno reso disponibili sui propri siti, strumenti informativi largamente utilizzati soprattutto in tempo di quarantena, sia nella sezione news che nell’albo pretorio.

Ai 23 comuni in cui si distribuisce il frastagliato territorio della diocesi di Pisa, il Dpcm ha destinato complessivamente oltre 2milioni e 53mila euro. Le somme sono state attribuite a ciascun comune ma per capire in quali aree del territorio sono state allocate, si è scelto di aggregarle per zone socio-sanitarie, tenendo presente che solo quella pisana è integralmente compresa nel territorio diocesano. Lo sono parzialmente, invece, l’Alta Val di Cecina-Valdera[1], la Versilia[2] e la Val di Serchio[3] e marginalmente la Livornese[4] e le Valli Etrusche[5]. Per questa ragione, quindi, oltre la metà (53,6%) delle risorse allocate nella diocesi di Pisa è stato destinato alla Zona Pisana.

 

Tabella 1 – Diocesi di Pisa – Distribuzione buoni alimentari del Governo per zona socio-sanitaria (v.a. e %)

 

Zona socio-sanitaria v.a. (€) %
Pisana € 1.107.031,72 53,6
Alta Val di Cecina/Valdera € 324.181,08 15,7
Versilia € 287.417,67 13,9
Val di Serchio € 54.440,52 2,6
Livornese € 97.087,22 4,7
Valli Etrusche € 194.496,00 9,4
Totale € 2.053.270,35 100

Fonte: elaborazioni OPR – Pisa su dati Protezione Civile

 

Invero, nonostante la presenza radicata della Società della Salute in quasi tutte le zone distretto su cui si estende la diocesi (fa eccezione solo la Versilia), i comuni del territorio, sotto questo profilo, hanno applicato alla lettera il dettato del Dpcm dato che tutti hanno scelto di gestire autonomamente la misura.

La rilevazione condotta dall’Opr della Caritas diocesana di Pisa, condotta fra il 7 e il 10 aprile, ha evidenziato come la maggioranza di essi ha lasciato in rilievo nella homepage del sito web istituzionale le informazioni sulle modalità e i criteri d’accesso alla misura anche se non sono pochi (8 su 23) i comuni in cui, invece, per trovare notizie al riguardo è necessario navigare nelle pagine internet e sovente consultare l’albo pretorio on line. E’ logico supporre che non si tratti di sottovalutazione, quanto delle difficoltà collegate all’organizzazione della macchina comunale: specie nei comuni più piccoli, infatti, non sempre è presente un ufficio comunicazione che si occupa di divulgare e diffondere le notizie dell’ente. Molto spesso al contrario, provvede, un dipendente con altre competenze e per il quale, spesso, l’aggiornamento delle pagine web non è neppure la principale delle incombenze.

 

Grafico 1 – Buoni alimentari del governo: pubblicità della misura nelle homepage dei siti web dei comuni della diocesi di Pisa

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Fonte: elaborazioni OPR Pisa

 

L’analisi dei criteri d’accesso si è rivelata più complessa del previsto sia in ragione della notevole eterogeneità delle modalità di selezione dei beneficiari del provvedimento, sia, in molti casi, per il fatto che non sono state esplicitamente definite tutte le categorie aventi diritto. L’unico elemento condiviso esplicitamente da tutti comuni della diocesi è l’accesso su base familiare: non può essere erogato più di un buono per volta per ciascun nucleo. Quasi tutti, poi, consentono l’accesso alla misura di sostegno alimentare a disoccupati in conseguenza dell’emergenza Covid, in molti casi in presenza di altri requisiti (i più ricorrenti sono il non percepire altri redditi all’interno del nucleo familiare e il non essere titolari di cassa integrazione o altri contributi pubblici), e ai lavori autonomi che hanno dovuto cessare o sospendere l’attività causa epidemia e che hanno visto ridursi notevolmente i mezzi di sostentamento familiare (in questo caso, sovente, fissando una soglia minima di diminuzione delle entrate familiari e, spesso, fermo restando il requisito di non percepire altri redditi in famiglia). Cala leggermente, invece, il numero delle municipalità che permettono di beneficiare del sostegno alimentare ai c.d. “lavoratori intermittenti”[6], pur rimanendo ampiamente maggioritarie.

Il discorso cambia un po’ quando si prendono in considerazione coloro che sono già beneficiari d’interventi pubblici: sei comuni, infatti, hanno applicato in modo rigoroso l’indicazione del Dpcm escludendoli di fatto dagli aventi diritto alla misura, a prescindere dall’importo della sovvenzione. La maggioranza delle amministrazioni, però, ha scelto una strada diversa e qualcuno ha anche corretto un po’ il tiro strada facendo, dopo essersi reso conto che un’interpretazione rigida della norma avrebbe finito con l’escludere molti nuclei realmente in condizione di bisogno, seguiti dai servizi sociali ma percettori di contributi di modesta entità. Alcuni hanno consentito l’accesso a “coloro che usufruiscono di prestazioni non significative dal punto di vista del reddito”, altri hanno inserito una sorta di “criterio residuale” includendo fra gli aventi diritto anche “tutti quei soggetti che non riescono, in questa fase di emergenza Covid-19, ad acquistare beni di prima necessità alimentare”.

            Più complicato, invece, l’accesso per i nuclei che, per vivere, attingevano alla c.d. “economia informale o sommersa”, fra i più fragili e più esposti alle conseguenze sociali dell’emergenza: i comuni che non hanno previsto la possibilità di accedere (almeno esplicitamente) per coloro che si trovano in queste condizioni, infatti, sono ben otto. 14, invece, le municipalità che li includono fra gli aventi diritto, quasi sempre grazie al “criterio residuale” citato precedentemente, sovente in presenza di altri requisiti (fra i quali “non percepire altri contributi pubblici e non avere altre entrate in famiglia).

Infine il criterio della residenza, quello che rischia di essere il più escludente nei confronti di molti soggetti: è il caso di migranti e senza dimora o persone che vivono una situazione di grave marginalità, ma anche degli studenti universitari. Sette comuni, infatti, escludono in modo tassativo l’accesso ai non residenti, a prescindere dalla condizione di bisogno, e ben 13 non esprimono un orientamento al riguardo. Così le municipalità che includono espressamente i non residenti fra gli aventi diritto, purché in condizione di effettivo bisogno dovuto all’emergenza da Covid-19, sono appena 7. La formula più frequentemente adottata da queste amministrazioni è di permettere di ricevere i buoni anche a “tutti quei soggetti, compresi quelli temporaneamente domiciliati nel Comune, che non riescono, in questa fase di emergenza covid-19, ad acquistare beni di prima necessità alimentare”

Grafico 3 – Buoni alimentari del governo: i criteri d’accesso alla misura nei comuni della diocesi di Pisa

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Fonte: elaborazioni OPR Pisa

 

            Altra questione meramente pratica, ma non secondaria ai fini del’accesso, è il termine entro cui poter presentare domanda, attraverso il modulo di autocertificazione: al 10 aprile 2020, in 8 Comuni della diocesi non è già più possibile farlo dato che i termini sono scaduti. Chi è meno informato, dunque, verosimilmente è rimasto escluso. Dodici comuni, invece, almeno negli atti pubblicati non prevedono un termine ultimo per la consegna delle richieste, una situazione d’incertezza che rischia di penalizzare gli ultimi, ossia coloro che consegneranno la richiesta quando, probabilmente, i buoni a disposizione potrebbero essere prossimi alla fine. Tre, invece, più saggiamente prevedono un termine ampio oppure una cadenza, chiedendo ai cittadini di presentare le richieste un determinato giorno della settimana.

 

Grafico 4 – Buoni alimentari del governo: i termini per presentare domanda d’accesso alla misura nei comuni della diocesi di Pisa

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Fonte: elaborazioni OPR Pisa

 

Un ulteriore aspetto da prendere in considerazione riguarda le modalità di valutazione delle domanda. In due casi, almeno dall’analisi della documentazione pubblicata, non sembra essere prevista una valutazione ex post delle domande presentate e accolte: tutti coloro che hanno i requisiti, accedono ai buoni nella misura prevista dai regolamenti che prevedono un importo per le famiglie composte da una sola persona, che cresce proporzionalmente in ragione delle dimensioni del nucleo. La maggior parte dei municipi (15), però, prevede anche una valutazione ex post che in 12 casi è affidata all’Ufficio Sociale del Comune mentre in tre casi è incaricata un’apposita commissione, due delle quali rimangono a prevalentemente composizione pubblica mentre per l’altra non è stato possibile individuare la composizione. Nella valutazione delle domande, al fine di determinare una graduatoria di accesso, i criteri utilizzati più frequentemente sono stati i seguenti: “condizioni d’indigenza o di necessità individuata dai servizi sociali/Commissione sociale; b) presenza di minori; c) maggior numeri di componenti nucleo familiare; situazioni di fragilità recate dall’assenza di reti familiari e di prossimità; e) situazioni di marginalità ed esclusione”

 

Grafico 5Buoni alimentari del governo: presenza o meno di valutazione/istruttoria sociale per l’accesso alla misura nei comuni della diocesi di Pisa

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Fonte: elaborazioni OPR Pisa

 Nella scelta, determinata dall’urgenza di fare il prima possibile, di fare da soli, i Comuni sembrano aver tralasciato anche il coinvolgimento del terzo settore e del volontariato, soprattutto di quello che si occupa in misura prevalente di contrasto alla povertà. Sono ben 15 i municipi che, almeno nei documenti pubblicati, non si esplicitano alcun ruolo, il che potrebbe anche significare un mancato riconoscimento formale a fronte, però, di un riconoscimento sostanziale effettivo. Al netto di questa significativa riserva, però, dalla documentazione analizzata non emerge alcun ruolo esplicito del terzo settore e del volontariato nella definizione dei criteri d’accesso e nella selezione degli aventi diritto. Più della testa, insomma, sembrano interessare le gambe se è vero che, le rare volte in cui è menzionato, lo si fa soprattutto con riferimento a collaborazioni pratiche legate alla consegna dei buoni e dei pacchi spesa e delle autocertificazioni, sia da compilare che già compilati.

Grafico 6 – Buoni alimentari del governo: il coinvolgimento del terzo settore e del volontariato nei comuni della diocesi di Pisa

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Fonte: elaborazioni OPR Pisa

 

Raccomandazioni

  L’emergenza sanitaria collegata all’epidemia renderà sicuramente necessari altri provvedimenti, auspicabilmente nel più breve tempo possibile, finalizzati a rafforzare e allargare la rete di protezione sociale per contrastare l’ampliarsi dell’area della povertà e della marginalità. Dunque quanto appreso, in termini di buone prassi e di criticità, dalle misure di sostegno alimentare in corso in questi giorni costituiscono una lezione preziosa in prospettiva futura. Al riguardo, credendo di offrire un contributo utile, si formulano le seguenti raccomandazioni.

 

Privilegiare un approccio zonale nell’applicazione delle misure al fine di evitare la proliferazione di criteri d’accesso in territori, spesso, omogenei anche dal punto di vista economico-sociale che rischino di generare disparità fra i cittadini che vivono in diversi comuni. Il livello zonale e le sinergie fra le amministrazioni comunali, peraltro, potrebbero anche supplire a qualche lacuna emersa con riferimento ai buoni alimentari, non certo dovuta a mancanza di volontà, quanto ai limiti strutturali dei municipi più piccoli come, ad esempio, nel caso della corretta informazione;

 

Dare priorità alle condizioni di oggettivo bisogno con particolare attenzione all’area di coloro che traevano mezzo di sostentamento dall’area della c.d. “economia sommersa”, dando un’applicazione “elastica” al criterio del non essere già beneficiari di altri contributi pubblici (guardando anche all’entità del contributo in correlazione con le necessità familiari), e a prescindere dai requisiti formali di residenza.

 

Prevedere termini di accesso alla misura di non brevissimo periodo o, comunque, cadenzati nel tempo al fine di consentire l’accesso anche a coloro che, in reale situazione di bisogno, abbiano avuto conoscenza della misura e delle relative modalità di accesso con qualche giorno di ritardo rispetto all’uscita dell’avviso nella consapevolezza che “andare al passo degli ultimi” significa, talvolta, anche procedere più lentamente, perché nessuno rimanga indietro.

 

Coinvolgimento volontariato e terzo settore, specie quello da più tempo impegnato nel contrasto alla povertà, quale interlocutore competente, in grado di fornire chiavi di lettura utili per costruire modelli d’intervento il più possibile inclusivi nei confronti delle categorie maggiormente colpite dall’impatto socio-economico del’emergenza: al riguardo auspichiamo la nascita di momenti e spazi di scambio d’informazione, coordinamento, monitoraggio e pianificazione partecipata degli interventi pur ne rispetto della diversità di ruoli e mandato e nella doverosa necessità di essere tempestivi nel sostenere chi fa più fatica.

 

 

 

 

[1]   Quattro comuni su 13, incluso però il principale, ossia quello di Pontedera

[2]   Quattro comuni su 7

[3]   Un comune su 16, ma il più popolato della zona distretto (Barga)

[4]   Una parte del comune di Collesalvetti

[5]   Tre comuni e una piccola parte di quello di Cecina.

[6]   Il contratto di lavoro intermittente è un contratto di lavoro subordinato, anche a tempo determinato, con il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno