“L’emozione non basta, occorre un senso di maggiore attenzione al prossimo”: l’intervista del Corriere Fiorentino all’arcivescovo di Pisa

“Sono convinto che l’emozione non possa bastare. Solo se creiamo relazioni possiamo capire cosa sta succedendo. Occorre un senso di maggiore attenzione al prossimo”. Questo il commento dell’arcivescovo di Pisa, Giovanni Paolo Benotto, intervistato dal Corriere Fiorentino sulla vicenda della bimba morta a Calambrone. “Una tragedia del disinteresse”, così la guida pastorale pisana ha definito il caso che ha come unica vittima la piccola Samantha. “Dobbiamo uscire dall’individualismo – ha concluso Benotto – il resto sono solo chiacchiere e discorsi vuoti”.

leggi l’intervista completa dell’inviato del Corrriere Fiorentino, Marzio Fatucchi

benotto

 Arcivescovo Giovanni Paolo Benotto: nella sua città, Pisa – città universitaria, della cultura, oggi anche di internet – si scopre che a Calambrone c’è una baracca, quella dove è morta la piccola Samantha. Un buco nero. Come è possibile?

«Ce ne sono tanti di buchi neri. Anche se sono invisibili sono presenze reali, disseminate nel territorio, di cui non riusciamo ad avere piena consapevolezza. Degradi di tipo familiare, economico, di vivi

bilità. Siamo a conoscenza di situazioni ambientali peggiori di quella di Calambrone».

Quella resta una situazione ai limiti…

«Quel luogo è terra di nessuno, disabitato. Anche certe presenze non so quanto siano conosciute. Ci sono tanti ruderi: anche per le autorità è difficile rendersi conto di chi c’è».

I pochi che abitano nella zona pero sapevano che una bambina abitava in una barracca. Nessuno ha chiamato il parroco?

«A Calambrone non c’è il parroco. Ma nei campi ci siamo. C’è anche un nostro prete che vive in un campo rom».

Ma a Calambrone non hanno neanche chiamato i servizi sociali, un carabiniere: a nessuno è scattato la molla dello «scandalo» di una bambina in una capanna?

«Non so come sia potuto succedere. Ma il clima generale, non solo di Pisa, è l’individualismo. Tatto quello che sta succedendo oggi è in ordine a queste pretese, di libertà individuali, in cui tutti si fanno gli interessi propri: e poi vogliamo che la gente curi la prossimità con l’altro? L’individualismo porta a disinteresse e disimpegno. I politicamente corretti parlano di libertà individuali. Ma queste libertà si dovranno calibrare in contesto di relazioni comunitarie, familiari e più ampie, o no? Abbiamo smesso di guardarci negli occhi, come chiede Papa Francesco».

C’è l’esigenza di riscoprire le relazioni con l’altro.

«La cosa che rischia di impoverirsi di più è la bellezza, non l’estetica, ma la cosa che ti affascina e ti dà senso, che ti impegna e ti consente di metterti in relazione con gli altri».

In questi giorni si parla di muri, in Europa, per i rifugiati: anche a Calambrone c’era un muro?

«Ci sono tanti muri: la non comunicazione, il fatto di una cultura che si nutre di emozioni forti. Questa bimba tra tre giorni non la ricorderà più nessuno. So di dire una cosa tremenda. Ma se tutto si risolve in emozione del momento… Poi si troverà qualcuno a cui dare la colpa e finirà tutto lì. Ma non può finire tutto così: nessuno si prende la responsabilità».

Citando De Andrè: pensate di essere assolti, sarete per sempre coinvolti…

«La responsabilità, appunto: chi ne parla oggi? Per questo dico l’emozione non basta. Solo se creiamo relazioni possiamo capire cosa sta succedendo. Occorre un senso di maggiore attenzione al prossimo: conosciamo chi abita nel nostro stesso pianerottolo? Usciamo dalla cultura dell’individualismo: il resto sono chiacchiere e discorsi vuoti. Attività ed educazione alla relazione all’accoglienza si possono fare ovunque, non solo in chiesa. In quel modo mi rendo conto che chiunque sia davanti è un altro me stesso».

La baracca di Calambrone era abitata da 8 anni ma nessuno ha bussato a quella porta. Il Comune dice: mai avuto informazioni.

«Non stento a crederci: le baracche lungo l’Arno appaiono e compaiono, vengono buttate giù e ritirate su».

É riportare legalità sgomberare?

«Le rispondo con una domanda: come vengono accolte le persone sgomberate? Dove vengono indirizzate? Le do solo un numero: ci sono 38o famiglie che vivono grazie alI-Emporio della solidarietà”. L’assenza di questo e dell’attività della Caritas, farebbe esplodere una giusta violenza: la risposta è stimolare attenzione per gli altri».